Davanti ai cancelli
Imparare
dall’esperienza per continuare la lotta
Lunedì alle h 6.00 di mattina al
deposito di viale Sarca di Milano, uno dei più combattivi della città, in mezzo
a due file di poliziotti iniziano ad uscire mestamente uno dopo l’altro gli
autobus di turno. In quel momento non c’è più nulla da fare. E’ praticamente
sicuro che negli altri depositi i colleghi sono usciti. Il fronte dello
sciopero è quindi momentaneamente rotto. I lavoratori precettati non rischiano
nulla se tutti i lavoratori incrociano le braccia. Ma, al contrario, basta che
pochi inizino a lavorare perché i precettati rischino una persecuzione penale,
il carcere per un periodo che va da sei mesi a due anni, una multa di 256 euro
e l’impossibilità di partecipare a qualsiasi futuro concorso pubblico. Il
requisito, infatti, per portare un mezzo di trasporto è l’assenza di qualsiasi
procedimento penale a carico. Ciò che è successo lunedì non è una sconfitta né
momentanea né definitiva. I problemi rimangono tutti sul tavolo. I lavoratori
sono usciti a lavorare vinti dalla paura di precettazioni e polizia, non
convinti dalle argomentazioni dell’azienda o dei sindacati. La loro rabbia
rimane viva. Tuttavia l’episodio di lunedì è carico di insegnamenti.
Una notte di lavoro per i
pompieri della lotta
In una vecchia pubblicità si
diceva: quando tutti se ne vanno dall’ufficio entrano in gioco i professionisti
del pulito. Nel caso dell’Atm dovremmo dire: quando a notte fonda i lavoratori
stanchi vanno un attimo a casa a riposarsi, entrano in gioco rilassati e
riposati i professionisti del tradimento della lotta.
Domenica non erano mancate
assemblee in cui i lavoratori avevano ribadito la propria volontà di continuare
la loro battaglia, sfidando apertamente le precettazioni. Le precettazioni non
possono fare nulla, a patto che il fronte dello sciopero si mantenga unito.
Anche al deposito di viale Sarca
l’ultima assemblea volante tenutasi verso sera aveva ribadito con una votazione
per acclamazione la volontà di continuare ad oltranza. Quando la maggioranza
dei lavoratori verso mezzanotte ha preso la strada di casa, questo era il dato
che regnava incontrastato. Questa certezza ha iniziato a cambiare minuto dopo
minuto nel corso della notte.
La tattica tentata per due giorni
da parte di amministratori Atm, agenti della Digos e funzionari Cisl è sempre
stata quella di diffondere notizie false ad ogni deposito dicendo che gli altri
depositi avevano ceduto.
In due giorni di presidio a
Sarca, ci è arrivata la notizia che il deposito di Giambellino aveva ceduto
almeno cinque volte. Questa tattica si è rivelata determinante lunedì mattina.
I primi lavoratori che uscivano con i mezzi delle 4.00 di mattina dovevano
avere la certezza che gli altri depositi stavano scioperando. Il rischio di essere
gli unici ad incrociare le braccia è troppo alto per i precettati del primo
turno. Ma lunedì mattina la confusione regnava sovrana. Con un abile gioco
delle tre carte, ad ogni deposito veniva detto che gli altri erano già usciti a
lavorare, finchè qualcuno ha ceduto realmente. A quel punto uno dopo gli altri
tutti i mezzi sono usciti. Quella confusione non era il risultato semplicemente
della disorganizzazione dei lavoratori, ma del lavoro cosciente ed organizzato
che la controparte aveva svolto nelle ore notturne.
Svuotare il mare con un
cucchiaino
All’1.00 siamo rimasti una
quindicina a presidiare l’entrata del deposito di viale Sarca. E’ un numero
sufficiente considerando che le corse dei mezzi sono terminate e non ce ne sono
altre fino alle 4.00 di mattina. Ci arriva la notizia che per tutti i depositi
stanno girando macchine di funzionari confederali a dire che gli altri depositi
hanno ceduto. La cosa non ci stupisce visto che la stessa tattica è stata usata
nel corso dello sciopero a sorpresa del primo dicembre. Questa volta però la
situazione è particolarmente delicata per via delle precettazioni.
Insieme a due lavoratori Atm di
Sarca decidiamo di prendere la macchina e di andare a parlare con i lavoratori
degli altri depositi, almeno a quelli che sembrano più vacillanti. Il primo
deposito a cui andiamo è quello di via Palmanova. Arrivati lì davanti la
situazione ci apparesubito molto deteriorata. Una trentina di lavoratori sono
riuniti attorno al fuoco davanti al cancello del deposito. Tra di loro sono
sicuro (e i lavoratori Atm che erano con noi concorderanno) che ci sono alcuni
delegati sindacali che stanno facendo lavoro ai margini per diffondere dubbi ed
incertezza tra i lavoratori. Appena arriviamo davanti al deposito e chiediamo
come va, la prima risposta che ci sentiamo dare è che Giambellino ha ceduto.
Rispondiamo che è una voce che gira da due giorni, ma di cui ne dubitiamo la
veridicità. La seconda cosa che ci viene comunicata è che Sarca ha ceduto.
Questa volta non solo possiamo dire che dubitiamo di tale notizia, ma ci
mettiamo a spiegare che noi proveniamo da Sarca e che lì l’ultima assemblea dei
lavoratori ha deciso di continuare.
Non appena assicuriamo che non
c’è nessun deposito che ha deciso di cedere, le voci iniziano a cambiare. A
quel punto come per magia, iniziano a girare altri tormentoni: il primo è che i
Contratti Formazione Lavoro non avrebbero scioperato perché rischiavano il
licenziamento e quindi il giorno dopo sarebbero usciti regolarmente.
Quest’argomentazione era tanto più ridicola considerando che eravamo al terzo
giorno di sciopero “illegale” e che i Cfl avevano già aderito alla protesta. La
realtà è che i Cfl chiedevano semplicemente un maggior grado di certezza
rispetto alla continuazione dello sciopero. Se il terrore di ogni lavoratore
precettato era quello di essere uno dei pochi a scioperare, questo terrore era
doppio per un qualsiasi lavoratore Cfl.
La seconda voce incontrollata che
ha iniziato a circolare era quella che il prefetto ci aveva chiesto un incontro
e quindi non aveva senso continuare con lo sciopero il giorno dopo. Tale voce
si commentava da sola. Oltre al fatto che il prefetto non aveva chiesto nessun
incontro, di certo il modo migliore per andare ad un incontro con il prefetto
era precisamente avendo dietro la forza di uno sciopero che aveva violato
apertamente le sue precettazioni.
Infine l’ultimo tormentone a
girare è stato quello della metropolitana. Tutti erano stati convinti che la
metropolitana avrebbe funzionato e che questo voleva dire la fine della lotta.
Una città come Milano non può funzionare semplicemente con le tre linee della
metropolitana. A Roma i lavoratori dei mezzi di superficie avevano continuato
il proprio sciopero, nonostante la metropolitana fosse in funzione, ottenendo
che verso le 16.00 anche i lavoratori della metropolitana incrociassero le
braccia.
Il motivo per cui i “pompieri”
puntavano tanto sulla metropolitana era presto svelato: la metropolitana
entrava in funzione solo verso le 6.00. Ma i primi mezzi di superficie uscivano
alle 4.00. L’importante dal loro punto di vista era che i primi lavoratori non
avessero certezze riguardo all’adesione dello sciopero nel corso della
giornata. Niente è stato lasciato intentato per far venire loro la paura che
sarebbero stati gli unici a scioperare.
Quando ce ne siamo andati da
Palmanova l’impressione era quella di aver tentato di svuotare il mare con un
cucchiaino. Per ogni notizia reale che avevamo dato, c’erano dieci voci false
che circolavano.
“Sto cercando di farli uscire ma credo
che avrò problemi”
Tornati a viale Sarca troviamo
dei lavoratori provenienti dal deposito di via Messina. Questo deposito appare
come quello più vacillante. I funzionari filoaziendali sanno che basta far
cedere un solo deposito perché cedano tutti gli altri e il deposito di via
Messina sembra che sia stato individuato come l’anello debole. E’ un deposito
di tram e quindi sono i primi ad uscire. La situazione è ancor più delicata. I
lavoratori di Messina sono venuti di fronte a Sarca a chiedere che venga
mandata una delegazione per sollevare un po’ il morale ai colleghi di Messina.
Ci chiedono anche di portare lo striscione del Collettivo Pantera. Lo facciamo.
Andiamo a Messina. Appena arrivati alcuni delegati ci chiedono come vanno le
cose. Non sappiamo per chi ci hanno chi scambiati, fatto sta che il
coordinatore di deposito, iscritto alla Cisl, ci dice convinto: “domattina
cercherò di farli uscire ma potrei avere dei problemi”. Si presuppone che fosse
lì a fare la notte per presidiare il deposito. E dal suo punto di vista lo
stava facendo. Insieme a lui c’era un delegato Ugl. Strano che personaggi si
possono trovare “in mezzo ai lavoratori” nel momento più delicato della lotta!
Ovviamente gli abbiamo chiesto di
confermare la sua frase di fronte al resto dei lavoratori. Ma in quel momento
la sua cantilena è cambiata: “I lavoratori decideranno in autonomia domattina,
io mi limiterò a fargli una fotografia dei fatti”. Mi ha fatto vedere un
mucchio di carte inviate dalla Cisl che dicevano: “Siamo molto scontenti
dell’accordo raggiunto con la controparte ieri ma siamo sicuri che i lavoratori
capiranno. Noi ci impegnamo a intraprendere vertenze locali, provinciali e
regionali per recuperare a livello territoriale ciò che è stato perso a livello
nazionale”. Un lavoratore lo aggredisce verbalmente ma la sua rabbia è pari
all’impotenza. Gli altri lavoratori, infatti, si vede che temono sia lui sia il
delegato Ugl
Alle 4.00 di mattina casualmente
le televisioni sono davanti al deposito di Messina. Non sono né al deposito
Leoncavallo, né a Novara, né a Sarca, i depositi più combattivi. Le telecamere
sono casualmente a Messina a riprendere il primo tram che esce a Milano alle h
4.21. La prima intervista concessa loro è da parte di un delegato Cisl, che
dice: “I lavoratori hanno deciso di uscire in autonomia perché il prefetto ci
ha concesso un incontro e grazie alla disponibilità di riprendere la vertenza a
livello territoriale da parte dell’azienda”.
A Sarca, gli ultimi ad uscire
Data la situazione, decidiamo di
passare le ultime ore a Sarca. Ormai girare non serve più a nulla. Bisogna che
almeno quel deposito tenga. Alle 4.26 dovrebbe uscire il primo bus. Non esce.
E’ tutto tranquillo. Arriva un delegato sindacale che si ferma lì a dire che il
deposito di Molise è uscito. Alcuni lavoratori partono in macchina,
minacciandolo: “noi ora andiamo a Molise, se non c’è nulla, ti conviene non
farti trovare”. Naturalmente a Molise non è ancora uscito nessuno, e nemmeno al
deposito di via Leoncavallo. E’ presente anche un amministratore Atm che sale
sugli autobus ad intimidire i lavoratori. Naturalmente dice che tutti gli altri
depositi sono già usciti. Due autobus si portano all’uscita. Vengono circondati
da esterni che gli parlano. I primi due lavoratori spengono il motore e
scendono. Il blocco sembra tenere. Ma le notizie continuano ad arrivare
insistenti. Vengono anche smentite, ma ormai nessuno crede più a nessuno. Tutti
credono a quel che vogliono credere. Chi ha paura sale e mette in movimento i
mezzi. Gli esterni fanno blocco davanti ai cancelli. Alle 6.00 arriva altra
polizia. Carica ed apre le entrate dei depositi creando due ali attorno
all’uscita. Qualche lavoratore grida:
“siamo in una dittatura”. Un lavoratore piange per la rabbia, altri gridano. La
scena più triste è quella di un autobus che esce con le gomme a terra, tutto
piegato su un lato. Il conducente si ferma e guarda le ruote a terra. Non può
uscire così. Ma il rischio che un simile incidente blocchi l’uscita dei mezzi è
troppa. Una guardia Atm gli dà un colpo sulla portiera gridando di non
fermarsi. E l’autobus esce tutto piegato sulla sinistra e va ad iniziare il
turno con le gomme a terra….naturalmente nel nome dei diritti degli utenti.
Cosa è mancato?
A Genova i lavoratori hanno
sfidato le precettazioni. L’hanno fatto. Non si sono lasciati prendere dal
panico anche quando i primi mezzi sono usciti. Li hanno lasciati uscire. Ma poi
di fronte alla compattezza dei lavoratori, anche quei pochi conducenti che si
erano fatti intimorire hanno deciso di rientrare al deposito.
I lavoratori del trasporto hanno
scoperto la propria forza ma anche la capacità della burocrazia sindacale nel
disperdere tale forza. Ciò che ci troviamo di fronte è un apparato burocratico
allenato da decenni a cavalcare e sviare gli scioperi. Dobbiamo essere
consapevoli della nostra forza tanto quanta quella dell’avversario.
Alcune cose ci sono mancate per
sfidare la precettazione e quelle cose non dovranno mancare la prossima volta.
Noi proviamo ad elencarne alcune:
1)
1) le
assemblee dei lavoratori di ogni deposito devono essere convocate con
chiarezza, almeno con qualche ora di preavviso e nelle ore serali per
permettere a tutti di partecipare. Quelle assemblee devono essere le uniche che
stabiliscono se si continua o meno la lotta. Quelle assemblee devono eleggere
due delegati per deposito, revocabili all’assemblea successiva, che devono
essere gli unici titolati a parlare a nome dei depositi. Al deposito di via
Sarca alle 3.00 di mattina ci hanno detto che “da poco” si era conclusa
un’assemblea che aveva deciso di non continuare. Mentre scrivevamo non abbiamo
avuto modo di verificare una simile notizia. Siamo propensi a non crederci. Ma
anche se fosse stato vero, che tipo di rappresentatività potrebbe avere una
simile assemblea quando tutti i lavoratori più combattivi sono andati a dormire
per riposare almeno un paio d’ore?
2)
2) I
delegati eletti dalle assemblee devono costituire un coordinamento di lotta con
l’incarico di tenere il collegamento tra i diversi depositi e con le altre
città.
3)
3) Va
fatto un appello chiaro ai lavoratori delle altre categorie e agli studenti a
recarsi di fronte ai depositi. Questo è stato fatto spontaneamente da diversi
lavoratori e studenti, ma potrebbe avere un effetto ancor più esplosivo se tale
appello venisse direttamente dai lavoratori del trasporto in lotta.
4)
4) Vanno
create squadre di lavoratori che si prendano il compito di andare a distribuire
un volantino che spieghi le ragioni della lotta alle fermate di principale
passaggio.
5)
5) Legalità
o illegalità sono concetti relativi. Se siamo compatti, non possono farci
nulla. La paura delle precettazioni era tanto più ridicola se si considera che
lo sciopero era già illegale, essendo caduto nel periodo di franchigia in cui
era proibito scioperare.
6)
6) Non
possiamo abbandonare la lotta per accettare un accordo territoriale, aziendale
o regionale. Siamo in lotta per il contratto nazionale e questa lotta si deve
chiudere con un contratto nazionale. Le voci riguardo ai patti territoriali
servono ad andare a dire ai lavoratori di Genova che Milano li ha lasciati
soli, a Milano che Firenze ha mollato e così via.
7)
7) Dobbiamo
chiedere che vengano indette nuove elezioni dei delegati.
8)
8) Oltre
a chiedere tutti i soldi che ci spettano (106 Euro di aumento e 2900 Euro di
arretrati) dobbiamo iniziare ad avanzare la richiesta di una tantum per
recuperare le ore di stipendio perse con gli scioperi, l’immediata
trasformazione dei Cfl in contratti a tempo indeterminato e la garanzia che non
ci sia nessun procedimento penale a carico dei lavoratori. Solo così tutti i
lavoratori legheranno i propri cuori e la propria volontà alla prosecuzione di
questa lotta fino alla vittoria.
I
lavoratori di Genova hanno sfidato la precettazione. Hanno dimostrato che non
abbiamo nulla da temere. L’azienda ed il Governo non sopporteranno un simile
precedente. Ora cercheranno di far di tutto per isolarli e metterli alla gogna.
Dagli aereoportuali di Roma ai metalmeccanici e i lavoratori del commercio,
sono molte le categorie in lotta. Questo Governo, questo sistema, il
capitalismo non sono in grado di garantire a nessuno una vita minimamente
dignitosa, solo la classe lavoratrice può con la sua forza e le sue capacità
indicare la strada da percorrere per porre fine allo sfruttamento. La lotta
degli autoferrotranvieri non rappresenta altro che il primo segnale di un
malessere che presto esploderà. La prima lotta, di cui si è concluso solo il
primo round, di una lunga lista di lotte che sempre più spesso vedremo nel
futuro. Oggi i lavoratori si sono battuti per 106 euro e i padroni hanno dovuto
fare i salti mortali per non darglieli. Vuol dire che domani lotteremo per
tornare a essere padroni dei trasporti pubblici.
La
redazione